Dalla finestra di Niépce

Uno degli aspetti caratteristici della fotografia è l’evoluzione: tecnica, scientifica, chimica. Dal 1826, dalle otto ore impresse per sempre dalla finestra di Niépce, alle fotocamere digitali, ai cellulari sempre più performanti, ai computer in grado di sostituire i processi ottico/chimici, aggiungendovi pure una infinità di effetti e stravolgimenti tali da non riconoscere più l’immagine di partenza, è stata una continua scoperta, rivoluzione dopo rivoluzione.
Ah, non parlo qui dell’Intelligenza Artificiale (AI) per non aprire un ennesimo, futuribile capitolo.

Per uno nato e cresciuto, come me, in camera oscura, che pure ha manipolato, inventato, ricreato, corre d’obbligo la domanda: la macchina, ogni macchina, con i suoi milioni di megapixel, impostata su decine di scatti tra cui ella stessa sceglie il migliore, potrà sostituirsi all’occhio, alla sensibilità dello sguardo, alla cultura del fotografo? Oppure dobbiamo considerare chiusa la parentesi della fotografia dopo due secoli di onorato servizio?

A seguire, qualche immagine digitale in cui il racconto, privo di inutili orpelli, forse imperfetto, viene prima di tutto.